Una domenica, mamma…

Dopo “Il pane sotto la neve” (bestseller Amazon in Italia),

benvenuti nel secondo romanzo della Saga della Serenella!
Per adulti e ragazzi.

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Una domenica, mamma…

 

Tutto ha inizio con una lettera.

“Una domenica, mamma…” prende il titolo da una sorta di promessa che un figlio fa alla madre.

Ed è anche il titolo del racconto vincitore del Premio Letterario dedicato a Giovannino Guareschi che dà inizio a questo romanzo, nelle primissime pagine, quelle che precedono il primo capitolo. Lì c’è il cuore della storia; perché il vero protagonista di questo libro è l’amore materno, in tutte le sue declinazioni.

Si tratta di un romanzo di narrativa popolare, a sfondo storico, ambientato nel ventennio fascista e nella prima fase della Resistenza, nel nord Italia, tra Emilia e Lombardia.

Un romanzo di formazione che si rivolge sia agli adulti che ai ragazzi.

È la storia di Emma: una donna bella, coraggiosa, “schietta come il freddo del mattino”, testarda e dotata di grande umorismo. Di origini povere e contadine, sposa un uomo ricco (monarchico e moderatamente filofascista) che ama. È felice, con una bella famiglia, un figlio che adora.

D’improvviso, la seconda guerra mondiale. Tutto crolla. Un dolore totale che toglie il respiro.

Ma poi Emma incontra una bambina ebrea. E la Resistenza e tanti ragazzi da aiutare.

Grazie a don Franco, il parroco amico di sempre, entra a far parte di una stramba, buffa e piccola brigata partigiana.

Emma si rialza. Nello stesso momento in cui il Paese alza la testa contro il nazifascismo.

La rinascita, di una donna e di un popolo.

E così la storia diventa corale.

È una storia d’amore? Sì. L’amore più grande, smisurato.

Quello di una madre.

Una domenica, mamma…

 

Anche la parte dedicata alla Resistenza ha comunque al centro il sentimento materno di Emma, perché quello resta sempre il protagonista del romanzo, quello che muove tutto.

Non è mia intenzione raccontare, in questo romanzo, la Resistenza cruda delle battaglie e delle lotte, ma un aspetto minore, più intimo. Quello che succede a dei ragazzini che si ritrovano in guerra ma che non sanno nemmeno da dove iniziare, anche se provano a fare del loro meglio.

E più di tutto si racconta di una figura materna che si trova a “occuparsi” di loro, cercando di preservarli dal pericolo. [Questi ragazzi non rappresentano certo una brigata classica…]

È una storia di emozioni. Una storia di pace, perché racconta come la guerra annienti o riempia di dolore la vita di persone che non sono diverse dai nostri amici, dai nostri vicini. Persone che potremmo benissimo essere noi.

Cerco di raccontare la grandezza che, potenzialmente, è in noi. E la speranza. La famiglia, la collettività, il senso di comunità. L’amicizia vera e la solidarietà. La determinazione nel perseguire il Bene.

Questo romanzo, soprattutto nella prima parte, è costruito per immagini e salti temporali.

Mentre lo scrivevo, ho sempre visto le scene scorrermi davanti come in un film. Ed è così che le ho raccontate.

Ci sono parti drammatiche e parti umoristiche. E parti che, nel loro umorismo, sfiorano il surreale.

Ci tenevo che si sentisse la vita scorrere. Lacrime, sorrisi, colpi di scena, amore, odio, dolore, risate, amicizie… E ci tenevo che i personaggi uscissero dalla pagina e diventassero reali, coi loro mondi e le loro personalità.

In questo romanzo, c’è la Storia e ci sono le storie.

Io ho raccontato soprattutto delle storie. Delle persone.

Qualcuno, leggendo in anteprima qualche pagina del romanzo, mi ha chiesto: “Ma è possibile che ci fossero legami così affettuosi in tempo di guerra?”

Ecco. Tra le tante persone che ho intervistato prima di scrivere la Saga della Serenella, ho parlato anche con un comandante partigiano, fortemente cattolico e reduce dalla Russia come ufficiale, che si è trovato a capo di una brigata Garibaldi (quindi, teoricamente, una brigata comunista).

Mi ha detto: “Sai che io non ho mai saputo chi tra i miei uomini era comunista e chi no? Non importava a nessuno, perché il legame che avevamo era più forte di tutto. Non mi vergogno a dire che ci volevamo bene, nel senso più profondo della parola: volere il bene dell’altro. Erano tempi, quelli, in cui senza la solidarietà reciproca non saremmo sopravvissuti! E la gente… l’aiuto della gente, dei contadini… Senza di loro, che per noi hanno rischiato la vita, nascondendoci, dandoci cibo, vestiti, cosa avremmo fatto? Sì, ci volevamo bene.”

Anni fa, in una lettera a Carlotta Guareschi (figlia dello scrittore), le raccontavo la mia intenzione di scrivere storie che facessero riflettere sui drammi della guerra. E la frase che più mi ricordo, nella sua risposta, è: “Continua a portare un messaggio di pace, in questo momento in cui pare che la guerra e le violenze la facciano da padrone. Ma… no pasarán!

Benvenuti nel secondo romanzo della Saga della Serenella.

L’Autrice

Post Scriptum

Piccola curiosità.

Nella foto in copertina: mia nonna, Erminia (Bruna) Quadrelli, a 20 anni.

Nella foto in quarta di copertina: mio papà, Gigi (Libero) Navicelli, a 12 anni.

[Tratto dal libro “Una domenica, mamma…”, Introduzione.]

Foto papà Foto nonna

 

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